Gli strumenti di protezione alleati della vita in tempo di pandemie
I primi usi di mascherine come dispositivi di protezione individuale sono difficili da individuare storicamente.
A partire da Ippocrate si è diffuso il pensiero che la trasmissione delle malattie avvenisse anche attraverso l’aria condivisa con i soggetti malati. Ma le prime testimonianze di maschere protettive del volto risalgono alle epidemie di peste di fine XVI secolo, per la precisione con le pestilenze del 1575 a Venezia e del 1630 a Roma. Nascono in quegli anni, infatti, le ormai famose maschere a ‘becco d’uccello’, con un prominente becco contenente paglia e incensi vari per cercare di isolare il portatore dagli effluvi insani dei malati. Purtroppo, non erano molto efficaci, ma almeno offrivano un senso di protezione dal contagio.
Bisogna aspettare i progressi scientifici in campo medico del XIX secolo per poter trovare traccia delle prime mascherine in senso moderno. Pochi anni dopo che Robert Koch (1843-1910) ebbe isolato il bacillo della tubercolosi, dando il via così alla batteriologia, un medico tedesco, Carl Flügge (1847-1923), evidenziò come potesse bastare una normale conversazione per spargere nell’aria microparticelle di saliva contenenti i germi e batteri dalla bocca e dal naso. Presto quindi si iniziò, almeno in ambito chirurgico, ad utilizzare la mascherina con un intento per l’epoca rivoluzionario: non più la protezione personale del portatore ma l’isolamento del paziente da una possibile infezione accidentale.
Per la prima volta, quindi, la mascherina assunse un significato preventivo, oltre che protettivo, ed era pensata più per la salute degli altri piuttosto che di sé stessi. Contemporaneamente all’introduzione delle maschere chirurgiche, si trovò poi un modo per filtrare l’aria respirata dal portatore, isolando di fatto la persona sana dal malato. Si deve quest’invenzione al dottore cinese Lien-teh Wu (1879-1970) e quest’innovazione permise, finalmente, di poter assistere i pazienti più contagiosi.
L’innovazione di Wu aprì la strada poi ad una serie di innovazioni che videro la mascherina diventare strumento indispensabile in alcune terapie mediche. Dall’anestesia alla pneumologia nel tempo si sono sviluppate svariate tipologie di maschere mediche, ognuna con un preciso scopo terapeutico. Fino a diventare presidio salvavita durante la recente pandemia: le maschere CPAP (Continuous Positive Airway Pressure, una maschera che consente il mantenimento di una pressione positiva all’interno delle vie aeree e ne impedisce il collasso), nelle fasi più acute della pandemia, quando le terapie intensive erano al collasso, hanno permesso un trattamento semintensivo e scongiurato in quei casi il ricovero che avrebbe affollato ancora di più un reparto già al collasso.
Abbiamo tutti ben presente i tempi in cui l’uso, tipico dei paesi asiatici, di indossare una mascherina nei luoghi pubblici era visto come una bizzarria, un eccesso di zelo o un velo di ipocondria. Oggi, invece, se si esce di casa senza mascherina ci si sente vulnerabili, se ne sente insomma la mancanza.
Le maschere della salute non sono solo uno strumento fondamentale in ambito medico e sanitario: in ogni ambito in cui esse vengano impiegate, dal medico allo sportivo, dal soldato all’addetto alle pulizie, le maschere salvano la vita. E di conseguenza è importante conoscerne non solo la storia, ma anche le applicazioni etiche e sociali in modo da dare a questo piccolo strumento l’importanza che merita.